29.11.21

“Giù le mani dal lungomare: deve restare pedonale ed istituire almeno un'isola pedonale per ogni Municipalità”, l’appello degli ambientalisti

LE ASSOCIAZIONI LANCIANO RACCOLTA FIRME E IPOTESI REFERENDUM


Napoli, 29 novembre 2021 -  L’annuncio da parte del sindaco Gaetano Manfredi di restituire al traffico automobilistico via Partenope (tranne che nei weekend) anche dopo la riapertura della galleria Vittoria, ipotesi confermata dall’assessore alla mobilità Cosenza, ha gettato nello sconcerto le associazioni ambientaliste cittadine. 

Così Fiab Napoli Cicloverdi, Green Italia Campania, Legambiente Parco Letterario Vesuvio, Legambiente Iride, WWF Napoli e Gentegreen lanciano un appello all’amministrazione comunale e a tutti i cittadini per ribadire quanto sia fondamentale ed importante riappropriarsi dello spazio pubblico del Lungomare rifiutando un  modello di città auto-centrico.

Uno spazio che deve essere libero non solo dalle auto, ma anche dai tavolini che oggi invadono i marciapiedi, dove l’occupazione del suolo pubblico sia rigidamente determinata e con la possibilità di essere controllata, anche dai cittadini, con appositi segni posti sulla pavimentazione.

“Pensare di ritornare, in maniera definitiva, a un lungomare percorso dalle auto significa proiettare Napoli indietro nel tempo, restaurare una realtà dove inquinamento, congestione, degrado, occupazione dello spazio pubblico e assenza delle relazioni sociali sono i protagonisti incontrastati e facendo assumere, a tutta via Caracciolo, la funzione di autostrada urbana che si frappone come barriera fisica e dinamica tra la città e mare, luogo unicamente asservito alle auto”, affermano gli ecologisti. 

Un altro Lungomare, liberato dalle auto e vivibile, dove c’è continuità fisica e percettiva tra la città e il suo mare, è stato per i Napoletani grandi e piccoli (e non solo) un sogno che si è realizzato dal 2012 e che è diventato simbolo e immagine di una città che vuole essere alla pari delle grandi capitali europee. La dimostrazione? Gli eventi dell’America’s Cup quando centinaia di migliaia di persone hanno raggiunto il lungomare con i mezzi di trasporto pubblico. 

Dopo la riapertura della Galleria, invece di riaprire via Partenope come propone l’Assessore Cosenza, andrebbe riattivato lo schema di circolazione che utilizzava le tre parallele di via Gramsci, via Giordano Bruno e via Piedigrotta per pedonalizzare via Caracciolo, con il doppio senso di marcia sulla Riviera di Chiaia. 

Con tale soluzione è possibile la pedonalizzazione da Mergellina a Piazza Plebiscito.

Le motivazioni che inducono gli ambientalisti a voler conservare la pedonalità su via Partenope non attengono solo alla mobilità sostenibile,  ma anche ormai a fattori economici consolidati. È chiaro che investire sulla risorsa “bellezza”, crea considerevoli ritorni in termini economici, di immagine da vendersi sul mercato turistico, di miglioramento della qualità urbana. 

Gli ecologisti chiedono non solo che il lungomare ritorni ad essere pedonale, ma che ci sia un cambio di paradigma rispetto a tutta la mobilità cittadina, favorendone quella attiva, pedonale e ciclistica, attivando vaste ZTL, assi pedonali di struttura come quello già indicato Piazza Plebiscito/Mergellina, isole pedonali in ogni quartiere. 

Il tutto da sviluppare e attuare all’interno di un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile “al fine di soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione, assicurare l'abbattimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, la riduzione dei consumi energetici, l'aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale, la minimizzazione dell'uso individuale dell'automobile privata e la moderazione del traffico, l'incremento della capacità di trasporto, l'aumento della percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi anche con soluzioni di car pooling e car sharing e la riduzione dei fenomeni di congestione nelle aree urbane”(vedi DECRETO 4 agosto 2017 - Individuazione delle linee guida per i piani urbani di mobilità sostenibile, ai sensi dell’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257)

Le associazioni firmatarie, che non escludono il ricorso a una raccolta firme e la richiesta di attivazione di un referendum in merito così come previsto dallo statuto comunale, chiedono al sindaco Manfredi un incontro urgente non essendo ammissibile che i cittadini e i portatori d’interesse non vengano coinvolti nei processi decisionali, soprattutto quando le scelte impattano così profondamente su abitudini, stili di vita e comportamenti delle persone.

Firmato da: 

Fiab Napoli Cicloverdi
M.Teresa Dandolo

Green Italia  Campania 
Carmine Maturo 

Legambiente Parco Letterario Vesuvio
Paola Silvi 

Legambiente Iride 
Anna Savarese
 
Gentegreen 
Guido Liotti

WWF Napoli
Franco Marino

18.11.21

GIORNATA NAZIONALE DEGLI ALBERI E FESTA DELL’ALBERO: 7 punti per salvare il verde a Napoli

In tutta Italia il 21 novembre si festeggia la Giornata Nazionale degli Alberi e le loro indispensabili capacità che permettono la proliferazione della vita:
assorbire l’anidride carbonica e rilasciare ossigeno, prevenire il dissesto idrogeologico, proteggere la biodiversità, mitigare il microclima urbano.
Tutte le regioni italiane sono coinvolte in iniziative dedicate a celebrare l’occasione
Questa giornata è a maggior ragione simbolicamente importante per la città di Napoli, che viene da più di un decennio di abbandono e maltrattamenti del suo patrimonio vegetale e arboreo, che ha ridotto gli alberi di questa città in condizioni davvero difficili e spesso anche pericolose per la loro stabilità.
Le associazioni ambientaliste e sociali cittadine  chiedono una netta inversione di tendenza alla nuova amministrazione di Napoli.
E propongono un’azione immediata su 7 punti essenziali , da attuare subito e quasi a costo zero per la nuova amministrazione
1 Approvazione immediata del REGOLAMENTO DEL VERDE DELLA CITTÀ, già regalato al Comune durante la scorsa amministrazione, elaborato dal gruppo di lavoro scaturito dal tavolo di associazioni, agronomi, archi
tetti paesaggisti ,come primo step del programma individuato nel “Manifesto del Verde” (allegato) ma  purtroppo “dimenticato” in qualche cassetto.
Regolamento di cui Napoli, tra le grandi città italiane,  è l’unica a essere sprovvista e che permetterebbe, una volta approvato, di eliminare tra le altre cose, potature sbagliate, interventi “fai da te” e un anarchia generale nel rapporto con i nostri alberi.
2 Terminare il censimento del patrimonio arboreo cittadino e la sua conseguente pubblicazione in rete sul sito del Comune di Napoli con strumenti informatici georeferenziati innovativi di interazione pubblico /istituzione.
3 Creazione di una Consulta a cui si possano iscrivere tutte le associazioni e soggetti informali come comitati e gruppi civici. Uno strumento innovativo per l’attuazione della convenzione di Aarhus da parte del Comune di Napoli, superando di fatto la funzione solo consultiva delle precedenti esperienze.
Nell’immediato si chiede la formalizzazione di tavoli tematici aperti che operino per il tempo necessario alla creazione della Consulta, anche con la presenza di tecnici professionisti.
4.  È  necessario il  potenziamento del settore verde nella pubblica amministrazione e nella città con nuovi professionisti agronomi, architetti paesaggisti, naturalisti e con giardinieri (ben formati ) che sostituiscano gli ormai tantissimi già andati in pensione .
5 Tutela e incremento della Biodiversità riqualificazione paesaggistica, resilienza ai cambiamenti climatici, qualità  come priorità e obiettivi da perseguire nella progettazione e riqualificazione delle aree verdi pubbliche con azioni che favoriscano habitat di biodiversità e corridoi ecologici .Una modalità di approccio al tema che sia la matrice di lavoro principale alla  base del Piano del Verde dedicato che dovrà essere parte integrante del PUC e del Piano di Adattamento Climatico. 
6. Abolizione del criterio del massimo ribasso nelle gare di progettazione e di esecuzione, a favore del criterio dell’offerta tecnicamente più vantaggiosa. (Il 62% di ribasso nelle ultime gare di manutenzione non è accettabile.) E affidamento dei lavori a ditte con documentata specializzazione nel campo del verde urbano.
7. Partendo dall’assunto  che la biodiversità parte dell’equilibrio tra specie diverse,  è necessaria anche la creazione di un regolamento della tutela degli animali- completo della parte sanzionatoria- in linea con la legge regionale numero 3  dell’ aprile 2019, oltre che di una carta degli animali, che ristabilisca un codice di comportamento tra il volontariato e le istituzioni.

 


Firmatari:

WWF NAPOLI-

LEGAMBIENTE CIRCOLO LETTERARIO PARCO DEL VESUVIO 

LEGAMBIENTE IRIDE

GREEN ITALIA CAMPANIA 

GENTE GREEN

FIAB NAPOLI CICLOVERDI

RICOSTITUENTI PER NAPOLI- coordinamento ambiente ed attività produttive (gruppo civico)

GAZEBO VERDE

HORSE ANGELS O.D.V. 

GEA-ETS

ANIMAL DAY

CambiaMÒ

ASOIM

COMITATO SALVIAMO LA VILLA COMUNALE

PROGETTO NAPOLI

FEDERCASALINGHE

ASSOUTENTI

LAC LEGA ANTIVIVISEZIONISTA

AMPA ODV-OSSERVATORI CIVICI CAMPANIA

CITTADINI CAMPANI PER UN PIANO ALTERNATIVI DEI RIFIUTI

CITTADINANZA ATTIVA IN DIFESA DI NAPOLI

LA MELA INSANA/ORTI URBANI

ROSSO AMBIENTALISTA

COMUNITÀ’ PARCO VIVIANI

COMITATO PORTO SALVO

LET’S DO ITALY

WE ARE URBAN! NAPOLI

COMITATO CIVICO VOMERO.

ACME’NAPOLI

GREENPOLIS

9.11.21

CEMENTIFICAZIONE E CENTRI STORICI TRA DEGRADO, TUTELA E SPECULAZIONE: IL CASO DI FRATTAMAGGIORE

Immaginiamo che un giorno, a Napoli, decidano di buttare giù il palazzo Marigliano o il palazzo Venezia, con le loro ringhiere in ferro battuto, le pitture sui soffitti, gli stucchi e le cornici, per fare spazio ad un anonimo condominio di venti o trenta appartamenti. 

Immaginiamo che un giorno, a Roma, si demolisca qualche residenza nobiliare dell’epoca papalina, una di quelle in cui viveva il Marchese del Grillo, con il portale in travertino, le nicchie a bocca di leone per spegnere le torce e i ganci per legare i cavalli, per tirare su un residence con parcheggio.

Immaginiamo quei muri, quei balconi, quelle finestre, quei cortili  magari un po’ malridotti e fatiscenti che ci raccontano la storia dei nostri antenati, che sono come l’album di famiglia delle nostre città, spazzati via impietosamente dalle ruspe. Una barbarie? Eppure succede davvero. Non nel ventennio fascista, non nella Napoli di Lauro e dei palazzinari al potere ma oggi, nel ventunesimo secolo. Succede in molti Comuni delle nostre parti. Succede anche a Frattamaggiore, dieci chilometri a nord di Napoli.

Questa città, fondata secondo la tradizione dai profughi di Miseno che nel nono secolo d.C. scappavano dalle invasioni saracene, in un luogo coperto da una vegetazione fatta di cespugli e “fratte”, si conquistò un posto di rispetto nella Campania Felix grazie alla produzione e al commercio della canapa, che diedero lavoro a intere generazioni di uomini e di donne. I padroni di quella terra generosa si arricchivano e con il danaro guadagnato si costruivano sontuosi palazzi e li adornavano con edicole votive, per assicurarsi la protezione dei santi e un posto in Paradiso. Scavando per costruire le fondamenta di quei palazzi, a volte riemergevano dalla terra un vaso, un piatto o un pezzo di colonna appartenuti all’antica città di Atella o ai piccoli villaggi circostanti che esistevano prima dei Romani, i cui abitanti inventarono la prima forma un po’ rozza di teatro basata sulle maschere da cui deriva la nostra commedia. Poteva accadere che qualcuno decidesse di incastonare quel pezzo di colonna dentro un muro portante del palazzo, mostrandolo orgogliosamente come un lascito degli antichi progenitori. In epoca moderna la lavorazione della canapa si spostò nei grandi opifici costruiti in periferia, in cui lavoravano centinaia di operai, che oggi restano con le loro altissime ciminiere a ricordare una storia gloriosa, fatta di fatica, sudore, fanciullezza rubata e puzza di fibre macerate.

Tutto questo mondo sta scomparendo per sempre. Dagli anni ’70 in poi è andata avanti una distruzione progressiva del tessuto edilizio storico della città, che negli ultimi anni ha preso un’accelerazione impressionante, mentre gli uffici tecnici sfornano a ritmo continuo licenze per abbattimenti e ricostruzioni, oltre a quelle per le nuove cooperative edilizie, mostri di cemento che nascono come funghi e divorano gli ultimi fazzoletti di verde e di suolo libero. Quello che ha sopravvissuto nei secoli a invasioni barbariche, guerre e terremoti sta per cadere sotto i colpi impietosi della speculazione, che sta radendo al suolo palazzi antichi, lasciati per troppi anni nell’incuria e nel degrado, perché la loro manutenzione costa troppo e i proprietari, spesso eredi dei patrimoni delle ricche famiglie di un tempo, preferiscono disfarsene e incassare subito i soldi che vengono loro offerti dai costruttori o dai loro rappresentanti.  

Inutile aspettarsi una qualche forma di opposizione alla progressiva cancellazione della memoria storica e architettonica del territorio da parte dei politici locali. Più di una volta hanno contribuito essi stessi in prima persona al sacco della città, per interessi professionali nell’edilizia o per gli intrecci tra affari e politica che caratterizzano tutti i Comuni più o meno piccoli. Il cemento muove troppi soldi e tanti, tantissimi voti, e che importa se poi la gente non ha più spazio per muoversi e aria per respirare.

Quando vengono messi sotto accusa, i politici si difendono stizziti replicando che non sono loro a rilasciare le licenze edilizie e che queste non si possono negare se le nuove costruzioni sono in regola. Ad avvalorare la loro difesa vi è il Piano Casa, che in Campania, come in altre regioni, viene prorogato ogni anno con il pretesto di dare lavoro al comparto dell’edilizia e a tutto l’indotto che ci gira intorno e che consente di ampliare la volumetria esistente degli edifici fino al 35% in deroga allo strumento urbanistico vigente. Ma questa giustificazione regge solo in parte. Gli uffici tecnici sono guidati da dirigenti di nomina politica, che in genere rispecchiano gli indirizzi del governo cittadino. L’ultimo Piano Regolatore risale a più di venti anni fa. Le recenti amministrazioni comunali sono inadempienti perché hanno rimandato a oltranza la formulazione del nuovo PUC (Piano Urbano Comunale, la cui stesura è iniziata mesi fa ma procede molto a rilento), lasciando di fatto campo libero ad una cementificazione aggressiva, spregiudicata e senza regole. Di fatto non c’è - ed è difficile credere che sia una dimenticanza e non una omissione voluta - un limite alla edificazione in rapporto alla popolazione che possa garantire la vivibilità e non esistono norme di salvaguardia per tutelare gli edifici di pregio né alcun piano di recupero del centro storico (o di ciò che ne rimane). Eppure coloro che hanno governato Frattamaggiore in questi decenni si vantano di averle conferito il titolo di “città d’arte e benedettina”. Che, in questo scenario, suona come una tragica beffa, una vuota dicitura che appare sui cartelli stradali quando si entra in città e ci si ritrova immersi in un caos di palazzoni in costruzione, traffico, lamiere strombazzanti e gas di scarico, con le betoniere che vanno avanti e indietro come fossero mezzi di un esercito occupante.

Così, al posto di malandati palazzi storici, che stanno per essere distrutti tra nuvole di polvere e montagne di macerie, si preparano a sorgere enormi fabbricati di cemento armato e vetro di trenta o quaranta nuovi “quartini”, come si dice da queste parti. Case e ancora case, perfino su cinque o sei piani, che incombono sulle strette vie del centro storico e rubano gli ultimi pezzetti di cielo. A pochi metri dalla piazza principale, al posto di un giardino privato, stanno tirando su addirittura un grattacielo di sette piani che incombe minaccioso sui tetti a tegole vicini, un orrore che solo a vederlo fa rabbrividire e gridare vendetta. Nuove case di cui non c’è alcun bisogno - perché la popolazione non aumenta e in città si contano decine di appartamenti sfitti - che accresceranno il carico sulla rete idrica e fognaria fino a farla scoppiare e che riverseranno sulle anguste e sovraffollate strade cittadine centinaia di nuove automobili, inquinando sempre di più l’aria, che nelle ore di punta dei giorni lavorativi e nei week-end è già irrespirabile. I risultati di questa gestione scellerata e irresponsabile del territorio purtroppo già si vedono. Una follia legalizzata che guarda solo all’effimero profitto derivante da questa speculazione, di cui beneficeranno in pochissimi, e che renderà ancora più invivibile un territorio già congestionato dall’eccesso di cementificazione e da una densità abitativa ed edilizia tra le più alte d’Italia. Secondo i dati più recenti aggiornati al 2015, Frattamaggiore, con i suoi cinque chilometri quadrati di superficie, è al 14° posto nella graduatoria di tutti i Comuni italiani (su quasi 8mila!) per consumo di suolo, mentre nei primi dieci posti ci sono altri sette Comuni della provincia di Napoli (fonte ISPRA - Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), e continua a salire in questa infelice classifica. Si sta saturando di costruzioni un territorio che avrebbe bisogno invece di spazi aperti, di verde, di servizi e strutture collettive, soprattutto per i bambini e per gli anziani, che ormai non hanno quasi più luoghi dove stare e d’estate soffrono più degli altri le ondate di calore aggravate dalla mancanza di alberi. La popolazione assiste senza reagire, spesso indifferente o troppo impegnata a pensare ai problemi della quotidianità.

Ma uno spiraglio di luce si sta aprendo in questa notte che, come diceva una canzone di qualche anno fa, “dovrà pur finire”. Un fronte di cittadini e di associazioni, tra cui quella che, non a caso, si è scelta il nome di “LiberiAmo Fratta” - nata per liberare la politica locale dalla morsa soffocante delle clientele e dell’affarismo e che pone al primo posto la difesa dell’ambiente, la cura dei beni comuni, la qualità della vita e la partecipazione dei cittadini alle scelte di governo e che alle ultime elezioni è riuscita a far eleggere due consiglieri comunali - oltre al gruppo campano di Green Italia, ha detto basta e ha deciso di fermare questo scempio, lanciando l’allarme per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedendo di vederci chiaro su molte licenze edilizie “facili”. Anche la Soprintendenza per i Beni Architettonici è stata allertata, con l’apertura di un tavolo di lavoro avviato diversi mesi fa, con la richiesta di accendere i riflettori sul caso Frattamaggiore e di avviare procedimenti per "dichiarazione di interesse culturale" riguardanti diversi immobili storici che potrebbero essere così salvati dalla demolizione, tra cui un ex-canapificio che è uno splendido esempio di archeologia industriale e che qualcuno vorrebbe buttare giù per costruire al suo posto l’ennesimo complesso residenziale.

Non è una battaglia di pura nostalgia perché quei palazzi antichi, quelle facciate logorate dal tempo e dall’incuria, se curate, rimesse a nuovo, valorizzate, potrebbero creare un indotto economico duraturo e significativo, ospitando visite guidate, percorsi turistici, spazi museali ed espositivi, dare lavoro ad operai, artigiani e professionisti attraverso piani di manutenzione e riqualificazione urbana, finanziati con fondi regionali, nazionali ed europei, coinvolgendo anche le scuole del territorio con progetti di studio e di ricerca.

Bisogna fare presto, perché il rombo minaccioso delle ruspe incombe per radere al suolo le ultime speranze di vivere in una città con una identità e una dimensione umana. Quella stessa città, a pochi chilometri dalla capitale di un regno, che alla fine del Seicento vide nascere un genio assoluto della musica sacra come Francesco Durante: il quale, se tornasse a vivere oggi, di fronte a questa strage silenziosa che si consuma sotto i nostri occhi, forse troverebbe ispirazione per comporre uno dei suoi requiem.  

Sergio Frattini
Luigi Costanzo