L’intervento non solo non trova alcuna giustificazione ma, soprattutto, è assolutamente fuori legge e fuori qualsiasi criterio agronomico, arboriculturale, ecologico e faunistico e stupisce ancor di più considerando che è stato permesso dalla più grande e prestigiosa università dell’Italia meridionale, alla quale non mancano certo le competenze per capire che tutto ciò nono andava fatto e che, si ritiene, non siano state minimamente consultate.
Qualsiasi docente di scienze forestali, di scienze agrarie e di botanica, ma perfino l’uomo della strada, sa bene che in primavera gli alberi sono impegnati nel rigonfiamento delle gemme, nella schiusa delle foglie e dei fiori, nell’ingrossamento di rami e rametti. Tutte attività che esigono un apporto energetico enorme, e mettono in moto un potentissimo e complessissimo laboratorio chimico. Manomettere un albero in questo periodo significa disorientare completamente la pianta, interrompendone il flusso di messaggi chimici e ormonali destinati a regolare l’intensa attività biochimica.
E quando si parla di potatura, 6 o 7 centimetri rappresentano il diametro di taglio massimo fino al quale ci si può spingere. Oltre queste misure crolla qualunque capacità di reazione efficace dell’albero. Tagli di diametro maggiore di questi devono costituire un’eccezione assolutamente straordinaria, e devono essere più che ben motivati. Più un esemplare è vecchio, minore sarà la sua capacità di sopportare deprivazioni di fogliame. Un’asportazione del 5% potrebbe già significare un limite invalicabile. Su un esemplare giovane possiamo tollerare valori superiori, spingendoci anche al 20 o 25% del volume complessivo.
Una potatura troppo severa su un vecchio esemplare o su un esemplare fortemente deperito, potrebbe innescare un rapido decadimento, e si potrebbe assistere al veloce disseccamento di tutta la pianta nei pochi anni successivi. Spesso mettendo a rischio la sua crescita e soprattutto la sua stabilita e quindi conseguente sicurezza pubblica.
L’intervento inoltre presenta forti elementi di illegalità.
L'art. 21, comma 1, punto O della legge 157 del 1992 fa divieto di prelevare e uccidere i nidiacei, cosa che avviene con la potatura in questo periodo. Ebbene le alberature di Monte Sant’Angelo in questo periodo ospitavano decine e decine di nidificazioni in atto di 12 – 15 specie di uccelli selvatici.
L’art.5 della direttiva 2009/92 sulla protezione della fauna selvatica riporta il divieto di disturbo durante il periodo di riproduzione quando ciò abbia conseguenze significative in considerazione degli obiettivi della presente direttiva.
In più la potatura va a intervenire in maniera opposta a quanto definito il 10 marzo 2020 dal decreto del Ministero dell’Ambiente “Criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde“ pubblicato nel n.90 della Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2020. Al cui paragrafo C, si spiega che “per garantire l’approccio strategico di medio-lungo periodo, è essenziale che le stazioni appaltanti, in particolare le amministrazioni comunali, siano in possesso e applichino concretamente strumenti di gestione del verde pubblico come il censimento del verde, il piano del verde, il regolamento del verde pubblico e il bilancio arboreo che rappresentano la base per una corretta gestione sostenibile del verde urbano”. Sempre nel paragrafo C si specifica che vanno evitati interventi sul territorio “qualitativamente scarsi e persino dannosi che compromettono lo stato di salute delle piante con conseguente aggravio di costi per la comunità”.
Gli ecologisti di Green Italia della Campania condannano questo operato e hanno sollecitato un'interrogazione parlamentare presentata dall'ecologista Rossella Muroni per far chiarezza sulle motivazioni che hanno portato a tale scempio, auspicando che anche il Senato accademico della Federico II prenda iniziative ed avvi un indagine interna al fine di risalire a motivazioni e responsabilità.